Piazza e via dei Crociferi [1] (R. II - Trevi) – (Vi convergono: via Poli, Piazza Fontana di Trevi, via dei Crociferi)
Le dà il nome, l’ordine dei Crociferi, a cui fu affidata la chiesetta di Santa Maria in Trivio. L'Ordine fu riconosciuto da Celestino III (Giacinto Borbone Orsini - 1191-1198) e si diceva istituito dal papa Cleto (76-88). Aveva tale appellativo perché questi frati portavano continuamente una piccola croce in mano come insegna del loro ordine. Fu soppresso da Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667). Uno “xenodochium [2]” edificato da Belisario (505-565) “viro excellentissimo cons. adque patricio” fece sorgere la chiesa, che corruppe il suo nome di S. Maria in “xenodochio” in quello di “sinodochio”.
Un’epigrafe posta all’esterno della chiesa attuale proviene dalla sommità della porta di quella medioevale e dice: ”Hanc vir patricius Vilisarius Urbis amicus; Ob culpae veniam condidit ecclesiam; Hanc hic circopedem sacram qui ponis in aedem; Ut miseretur eum saepe precare deum; Ianua haec est templi domino defensa potenti” [3]. Anche se la lapide, che evidentemente era posta sulla soglia della chiesa, non accenna all’ospizio, tuttavia se ne sono scoperti degli avanzi nel 1890.
Nel secolo XIV la piazzetta, cui concorrono tre vie, cominciò a chiamarsi “inter Trivium”, “inter Treio” e Trivio o Treio ed ebbe, fino ad Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), una fontana rivolta ad occidente, che Niccolò V (Tommaso Parentucelli -1447-1455) aveva fatto restaurare e munire in alto di un’epigrafe adorna degli stemmi del Pontefice e del Senato. Era la mostra della “fontana del Treglio” [4] che Urbano VIII volse dal lato meridionale e che Clemente XII (Lorenzo Corsini - 1730-1740) e Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) trasformarono in quella monumentale di Trevi.
La chiesetta, ricostruita dai Crociferi sotto Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585), passò nel 1658 ai Chierici Regolari Ministri degli Infermi e restò parrocchia fino a Leone XII (Annibale Clemente della Ghenga - 1823-1829), ed ebbe annesso un cimitero. I Chierici Regolari la officiarono fino al 1854, quando Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878) la dette alla Congregazione del Preziosissimo Sangue.
Nel '700 in due botteghe [5], alle Muratte e ai Crociferi v’era la distribuzione del “Diario Romano” detto “Chracas” (settimanale) fondato sotto Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721) col nome di “Diario di Ungheria” [6] (1716). Caterina Chracas che per oltre quarant’anni ne redasse i celebri foglietti, è sepolta nella chiesa del Nome di Maria al Foro Traiano.
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[1] ) In questa strada v’era una delle due botteghe che vendevano il « Chracas » (vedi Via delle Muratte - Trevi) che ha avuto poi gli uffici nei locali dov’è adesso il Giornale d’Italia (chiuso nel 1976, aveva sede nel Palazzo Sciarra-Colonna, in via del Corso).
[2] ) Lo xenodochio (xenodochium) era una struttura di appoggio ai viaggi nel Medioevo, adibita ad ospizio gratuito per pellegrini e forestieri.
[3] ) “Vilisarius, l’amico della città, per ottenere perdono dei suoi peccati; chi entra è invitato a pregare per lui il Signore".
[4] ) L’opera di riallacciamento e di conduttura dell’acqua Vergine, di cui la fontana di Trevi è la mostra, non fu portata a termine che da Pio V (1566-1572) e il grandioso acquedotto cominciò a funzionare il 16 agosto 1570.
[5] ) Altre “stamperie” in Roma: Komarek in piazza Sciarra (1722) e poi Bernabò, Giorgio Placho (intagliatore e gettatore di caratteri).
[6] ) Solo nel 1847, il primo dell'anno, uscì come settimanale, in formato grandissimo, il primo giornale politico di Roma, anzi della penisola. Si chiamò il “Contemporaneo” e si annunciava nel programma come “un giornale di progresso ma temperato, quale sospirano i buoni e consigliano i sapienti, ed è voluto dal principe ottimo ed è richiesto ai bisogni e all'aspettazione del pubblico”. Collaboratori ne furono Pietro Sterbini e Luigi Dragonetti, Agostini e Torre. Fu detto dai clericali un foglio infame e turpe e padre Bresciani scrisse che era "un giornale demagogico, il quale spingeva i Romani all’aperta ribellione, per indi venire direttamente alla Repubblica”. Il “Diario di Roma” dopo la parentesi del periodo napoleonico riprese le pubblicazioni il 6 luglio del 1814 nella stamperia del Chracas al Corso n°250.
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